Intervista a Stefania De Pascale

Amministratore

22 Maggio 2015

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di Valentina Ferreri
 
Le competenze dei dottori Agronomi e Forestali iscritti agli Ordini territoriali sono in costante perfezionamento grazie alla formazione professionale permanente, e la ricerca scientifica in campo agricolo, svolta principalmente dalle Università e da enti ad essa connessi, è alla base degli aggiornamenti professionali.
Proprio per parlare di formazione e ricerca incontro Stefania De Pascale, agronomo iscritta all’Ordine di Napoli, professore ordinario di Floricoltura e Orticoltura del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli, Presidente Generale della Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana (SOI) e membro del Consiglio Direttivo dell’Accademia dei Georgofili.
Nello scenario internazionale, a che livello si colloca la ricerca scientifica italiana?
“La ricerca scientifica ormai si svolge principalmente in campo internazionale, e siamo molto soddisfatti delle valutazioni ottenute dal nostro lavoro: nel 2010 il Dipartimento di Agraria di Portici si è collocato tra i primi 150 secondo l’Academic Ranking of World Universities, classifica compilata dalla Shanghai Jiao Tong University. A livello nazionale abbiamo ottenuto riscontri eccellenti dall’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, nell’ambito del programma VQR 2004-2010, nell’area disciplinare Scienze Agrarie e Veterinarie.”
Questa è un’ottima notizia. Quindi le pratiche agricole che promuoviamo sono le più moderne?
Potenzialmente, sì. Purtroppo spesso dopo la laurea gli agronomi si allontanano dall’università, e così si assottiglia l’anello di congiunzione tra il mondo della ricerca e l’utenza finale, cioè le aziende agricole. Il compito degli atenei è formare, non divulgare. L’università forma diverse tipologie di figure lavorative, tra cui i futuri liberi professionisti: sono questi ultimi che, applicando quotidianamente nel loro lavoro le proprie competenze mantengono il contatto con le aziende agricole, e così sono anche i primi ad avere il polso delle problematiche che emergono in fase produttiva.
Quali sono le problematiche relative alla messa in pratica dei risultati della ricerca?
L’allontanamento dei professionisti dai luoghi che li hanno in primis formati dipende probabilmente dal fatto che la ricerca è cambiata, e svolgendosi in ambito internazionale ha poca risonanza a livello locale. In Italia manca il modello di agricultural extension service tipico dei paesi anglosassoni, che renderebbe più facile la diffusione della ricerca scientifica e la conoscenza e l’applicazione delle nuove pratiche che da essa derivano.
In che modo si può rinforzare la catena per rendere il processo di divulgazione più capillare?
I professionisti dovrebbero mantenere un legame più stretto con l’università, tramite gli Ordini e le Federazioni. L’auspicio è di una sempre maggiore sinergia tra il Dipartimento di Agraria e il mondo professionale, sopratutto a monte, con un tavolo di programmazione che coinvolga i rappresentanti di categoria anche nelle programmazioni didattiche e negli orientamenti dell’offerta formativa. Questo avviene già a livello nazionale (il Conaf nel 2009 ha stipulato un protocollo d’intesa con la Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Agraria) ma la collaborazione dovrebbe essere sistematica ed incisiva a livello regionale, data la presenza in Campania di uno dei Dipartimenti più antichi e prestigiosi d’Europa.
 

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