Biodiversità e sviluppo rurale Intervista al Dott. Carlo Coduti, referente della Mis. 311 S.T.P. Benevento

Amministratore

15 Luglio 2016

di Massimo Palladino, ODAF Benevento

Dott. Coduti, la sua passione per le varietà di cereali e leguminose del passato, da dove nasce?

L’interessamento per queste coltivazioni viene da lontano; già da studente presso la Facoltà di Agraria di Portici mi occupavo di miglioramento genetico delle leguminose da granella adatte per la coltivazione in ambienti aridi, tipici dell’agricoltura del Sud Italia; infatti è stato l’argomento della tesi di laurea. L’idea è stata sempre di trovare nuove coltivazioni praticabili in ambienti “poveri” da inserire in rotazione con i cereali.

Successivamente, grazie all’attività agricola praticata nell’azienda di famiglia ci siamo dedicati al recupero e la valorizzazione di molte produzioni, in particolare diversi legumi: Il fagiolo Bianco di Montefalcone, da sempre coltivato sulle montagne dell’Appennino Dauno – Fortore, era quasi scomparso ed è stato da noi recuperato; diversi tipi di cicerchia, di lenticchie, di ceci ecc.; di recente abbiamo iniziato il recupero e la produzione di diversi cereali: il frumento tenero Risciola; un frumento duro da sempre coltivato in zona identificato con terminologie varie “capinera” – “saravolla” ecc.; il mais precoce vitreo quarantino ecc.

Secondo Lei, perchè un imprenditore agricolo dovrebbe impegnarsi nella coltivazione di queste varietà “antiche”: per scelta etica, economica o per entrambi?

Il termine “antico” non ritengo essere appropriato per descrivere queste coltivazioni; è frutto di semplificazioni giornalistiche, che non rappresenta correttamente la realtà dei fatti: trattasi di materiali genetici da sempre coltivati, perfettamente adattati ai vari ambienti di coltivazione, con caratteristiche fenotipiche poco adatte alle esigenze dell’agricoltura moderna (taglia alta, bassa capacità di accumulare biomassa nel seme, qualità delle proteine poco adatte a processi di trasformazione industriale ecc.). Tutto ciò, ha determinato che i programmi di miglioramento genetico, spinti da esigenze economiche ed industriali sono stati orientati a costituire materiali adattabili alle moderne esigenze industriali e della meccanizzazione; questo ha determinato la costituzione delle cosidette varietà “moderne”, adatte alla meccanizzazione integrale dell’intero processo produttivo; capaci di assicurare rese produttive eccezionali, impensabili solo qualche decennio fa. Purtroppo, nei programmi di miglioramento genetico, alcuni aspetti della qualità di queste produzioni sono state sottovalutate, in particolare l’impatto di questi nuovi prodotti sulla salute umana. Sotto questo aspetto, l’effetto è stato a dir poco disastroso ed ancora non completamente compreso o chiaramente spiegato: nuove forme di intolleranze, aumento dei casi di celiachia, nuove forme allergiche, senza contare anche il pericolo di residui di fitofarmaci nei prodotti finiti, o l’effetto delle concimazioni azotate spinte sul valore biologico delle proteine dei cereali. Queste criticità nelle cosidette varietà “antiche” sono assenti o trascurabili; da qui,  la vera motivazione perché l’agricoltore dovrebbe impegnarsi a coltivarle. 

Quale sarebbe, secondo Lei, la strada da percorrere per ritornare ad una agricoltura più tradizionale? E’ sufficiente la comunicazione o, come spesso accade nel settore primario, occorre anche il buon esempio di qualche imprenditore di successo?

Il vero ostacolo per il successo di questo tipo di agricoltura è solo ed esclusivamente di natura culturale: se, per incanto, il consumatore realizzasse che una corretta e sana alimentazione gli assicurerebbe ulteriori 20 anni di vita in buona salute, contro i rischi concreti di patologie invalidanti, ormai diffuse in tutte le famiglie (diabete, malattie cardiache, diverse forme tumorali, intolleranze ecc.), il successo sarebbe assicurato. Purtroppo oggi, il meccanismo causa-effetto è percepito da pochi. C’è molta strada da fare; la corretta e qualificata comunicazione i buoni esempi ecc. sono tutti importanti per l’affermazione di questo modo di produrre. Va detto però, che gli ostacoli da superare sono tanti, in quanto,  grossi gruppi economici, politiche sbagliate o poco avvedute, tendono ad imporre sistemi di produzione assolutamente inconciliabili con le esigenze della salute e dell’ambiente.

Vista la bellezza delle nostre aree interne, praticamente sconosciute ai flussi turistici, non sarebbe opportuno favorire la creazione di un itinerario turistico-naturalistico alla scoperta delle eccellenze agroalimentari sannite?

Il connubbio alimentazione –  turismo è stato sperimentato con successo in molte parti del territorio italiano; possiamo vantare esempi unici al mondo di dinamiche di sviluppo di successo basate su queste tematiche. Dove sta il problema: la capacità dell’imprenditore di cogliere le opportunità e trasformarle in occasione di successo.

 

In quanto referente provinciale della Mis. 311 del P.S.R. Campania, ritiene che gli investimenti fin qui effettuati per le attività di ricezione, siano stati in grado di creare delle strutture capaci di soddisfare un adeguato ed organizzato servizio di ospitalità?

Indubbiamente grazie alle opportunità del P.S.R. da poco concluso,  sono state finanziate iniziative interessanti, capaci di creare sviluppo nei contesti territoriali in cui sono state realizzate; con la Mis. 311, in questa tornata abbiamo finanziato circa 150 iniziative, quasi tutte nuove attività. Il nuovo programma in procinto di aprire i nuovi bandi presenta occasioni analoghe al precedente. Una massa finanziaria importante, quindi una occasione importante se non unica per investire nella diversificazione. 

“Sono capaci di soddisfare …. il servizio di ospitalità”? Bella domanda!!! Ritengo che tutti gli investimenti realizzati nelle aziende, utilizzando i fondi della diversificazione,  sono sicuramente occasione di incremento del reddito aziendale e mantenimento dell’occupazione. Circa la qualità dei servizi molto bisogna ancora fare, infatti, quasi tutti si limitano ai servizi minimi: pernotto, piccola ristorazione, senza nessun valore aggiunto quale potrebbe essere la valorizzazione di un prodotto o di una cucina tradizionale; la promozione di un paesaggio; la realizzazione di servizi che vanno oltre il pernotto e la semplice ristorazione.

In qualità di referente, a fine programmazione, con convinzione ritengo di chiudere un bilancio positivo, non tanto per i risultati numerici, ma soprattutto per il dinamismo riscontrato in moltissime realtà aziendali, in quanto, abbastanza consapevoli delle criticità da superare; per cui, se le risorse del nuovo P.S.R. vengono destinate ad investimenti finalizzati a migliorare la qualità dei servizi, insieme ad un miglioramento della cultura dell’ospitalità, in provincia possiamo fare un interessante salto di qualità.

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