Intervista al Dott. Gaetano Pascale, Presidente dell'Associazione Slow Food

Amministratore

15 Luglio 2016

di Walter Nardone, ODAF Benevento
 

Dott. Pascale, proveniente da una piccola provincia italiana, a venticinque anni dalla nascita di Slow Food, nel 2014, è stato eletto Presidente nazionale di questa Associazione che vuole essere la promotrice di “un’alimentazione buona, pulita e giusta per tutti”.

Per me si tratta di un’esperienza impegnativa e stimolante nello stesso tempo. Sono trascorsi quasi 20 anni da quando sono entrato a far parte di quest’Associazione che ha trasformato la passione che avevo per il cibo e la sua produzione in un progetto di vita che oggi condivido con tante altre persone.

Presidente, il simbolo della vostra Associazione, la chiocciola vuole essere un invito, rivolto alle popolazioni del mondo, verso una vita meno frenetica e più attenta al benessere complessivo delle persone.

Certo. Vuole essere anche un invito a riappropriaci di un pezzo del nostro destino. Oggi viviamo tutti come se ci fosse un ingranaggio a dettarci tempi e modi delle nostre azioni e del nostro lavoro, forse è arrivato il momento di concederci dei momenti in cui ci fermiamo a riflettere di più sui nostri bisogni interiori, prima che su quelli materiali.

Dott. Pascale, i numerosi impegni legati alla carica ricoperta, sono conciliabili con l’attività di libero professionista?

Non sempre purtroppo. Sono in giro per l’Italia praticamente tutte le settimane e la libera professione richiede un impegno costante e assiduo che è difficile garantire a queste condizioni. Perciò ho preferito, per tutto il periodo di durata del mandato, evitare di assumere impegni professionali, una sorta di aspettativa, per svolgere al meglio il servizio a cui sono chiamato con Slow Food ma anche per rispetto verso i committenti.

Quanto è radicata Slow Food nel territorio campano? E in Italia?

In Campania ci sono quasi 30 condotte, le nostre unità territoriali di base, che vedono coinvolti oltre 150 dirigenti volontari, circa 3.000 soci, 22 Presìdi (prodotti salvati dal rischio reale o potenziale di estinzione). Numeri sicuramente importanti, ma ciò che rende la nostra regione un riferimento importante nell’Associazione è la progettualità, la capacità di mettere in campo iniziative culturali e promozionali molto significativi per la nostra mission. In Italia le condotte sono circa 300, con quasi 40.000 soci, 270 Presìdi. Anche in questo caso, più dei numeri, l’autorevolezza è data dai rapporti con enti, istituzioni e operatori che ci hanno consegnato delle responsabilità importanti nei confronti dei sistemi alimentari del Paese.

La nostra Regione è caratterizzata per la produzione di eccellenze che sono un monumento alla cultura, al territorio, all’ambiente. Che cosa potremmo fare, come professionisti, per aumentare la visibilità delle stesse e quali suggerimenti si sente di poter dare agli imprenditori agricoli per affrontare meglio la domanda del mercato?

Bisogna dire che gli agronomi nella nostra regione hanno già fatto tanto in termini di valorizzazione delle eccellenze, ci sono tanti nostri colleghi che seguono direttamente la produzione di importanti aziende agricole. In prospettiva penso che, come agronomi, dovremmo aiutare le aziende agricole a diventare sempre più produttori di cibo per i consumatori e sempre meno fornitori di materie prime per le industrie alimentari. Che si traduce, per esempio, nell’utilizzare i fondi del PSR per finanziare qualche laboratorio di trasformazione in più e qualche trattore in meno. Questo è il suggerimento che mi sento di dare anche agli imprenditori agricoli, bisogna uscire dai meccanismi competitivi, che vedrebbero un agricoltura di piccola scala come quella campana soccombere inesorabilmente, e puntare invece sulle produzioni identitarie da portare direttamente sul mercato, facendo affidamento su un patrimonio sterminato di cultivar che, soprattutto nel comparto ortofrutticolo, è inimitabile e irriproducibile in altri contesti. Ci sarà un motivo se nella filiera vitivinicola il salto di qualità per tanti viticoltori c’è stato nel momento in cui hanno deciso di trasformare direttamente le uve aziendali.

Presidente, siamo fermamente convinti che abbiamo necessità di difendere le produzioni locali per motivi sociali, di protezione dell’ambiente e della biodiversità. Molti, però, sostengono che per poter soddisfare il fabbisogno alimentare del pianeta è necessario far ricorso agli OGM. Sappiamo della contrarietà della Sua Associazione, circa l’impiego degli stessi, ma, secondo Lei, sarebbe possibile, tutelando la salute delle popolazioni mondiali e gli interessi economici degli imprenditori agricoli, far coesistere una agricoltura convenzionale con una più “naturale”?

Proviamo a partire dai dati di fatto. Gli OGM sono stati introdotti 30 anni fa anche con la promessa che avrebbero risolto il problema della fame nel mondo. Nel 2014, anno in cui le coltivazioni GM hanno raggiunto la massima estensione a livello mondiale con oltre 180 milioni di ettari coltivati, la FAO ci dice che sono ancora quasi 800 milioni, circa il 12% della popolazione mondiale, le persone che soffrono di fame e malnutrizione cronica, mentre 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecate ogni anno. Analogamente non è diminuito l’uso di fitofarmaci che era l’altra promessa che si accompagnava alla commercializzazione di semi GM. Alla luce di queste considerazioni io resto convinto che gli OGM non siano una soluzione ai problemi di fabbisogno alimentare e di sostenibilità ambientale, inoltre contribuiscono a ridurre la biodiversità già fortemente minacciata e, infine, vanno a peggiorare i rapporti di forza tra agricoltori e aziende produttrici di mezzi tecnici, già troppi sbilanciati a favore di queste ultime. Pertanto credo che l’agricoltura convenzionale possa certamente coesistere con quelle che si ispirano alla naturalità dei processi produttivi, ma l’impegno di tutti, a partire dai tecnici, dovrebbe essere quello di provare a rendere l’agricoltura convenzionale sempre più sostenibile dal punto vista ambientale, dal punto di vista sociale e dal punto di vista economico. E per raggiungere questo obiettivo la biodiversità è indispensabile come l’aria che respiriamo.

 

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